giovedì 26 settembre 2013

Il mio amico A parte per Torino

Un mio caro amico sta per iniziare una nuova avventura. Lo chiameremo Alfonso, a causa della grande simpatia che entrambi abbiamo per la canzone di Levante.

Tra un racconto e l'altro riguardanti metafore sulla vita, alcune delle quali hanno a che fare con urine ed escrementi, ho avuto modo di conoscerlo. Conoscere i suoi sogni e le sue speranze. Il più grande di questi -secondo me- è scrivere. Leggo spesso quello che produce. È ironico e pungente, e riesce a tirare fuori delle conclusioni serissime anche dalla cosa/evento/libro più superficiale che possa esistere. 

Alfonso è stato ammesso ad una tra le più prestigiose scuole italiane di scrittura, e tra poco si trasferirà a Torino. Così come a suo tempo lui fece per la mia partenza, vorrei fargli un augurio.

Il classico per il meglio è più che scontato e ovvio, pertanto vorrei aggiungere qualcos'altro a cui pensavo stamani quando ero a lezione di Wireless Networks. Un professore cinese dal taglio di capelli "a funghetto", come avrei detto da bambino, parlava di come eliminare le interferenze. Cercando suonare un po' spirituale nello spiegare i vantaggi della stima della qualità del canale di comunicazione, diceva che se abbiamo l'occasione di conoscere qualcosa allora non ne avremo paura. Inoltre, parlando della complessità e il costo di questa stima, diceva che conoscere qualcosa porta sempre a delle sofferenze.

Ad ogni modo -dicevo- gli auguro di mettersi in gioco, e di perdere tutte le convinzioni che aveva. Di soffrire e scoprire tanto  su se stesso; per poter arrivare sempre più vicino a fare ciò che lo fa sentire vivo. A prima vista sembra più una maledizione che un augurio, ma non è così, giuro!

In bocca al lupo Alfonso! 

lunedì 2 settembre 2013

La linea sottile

Camminando, nel tunnel che porta alla linea blu a T-Centralen. Sai bene in che direzione devi andare. Centinaia di persone sono lì con te. Sono davanti, dietro e accanto a te. La maggior parte di loro guarda il cellulare e chi non lo fa fissa in terra lo spazio che ha davanti. Tutti si muovono in silenzio. L'eco dei passi fa apparire l'ora di punta come un'invasione della città da parte di un esercito che sembra non sentire il bisogno di parlare, o di esprimere emozioni.

Camminano, a ritmo scandito da un orologio atomico. Camminano, come incastrati in un puzzle semovente. Camminano, sulla linea sottile tra il rispetto degli altri e il menefreghismo.